"PATRIMONIO VENDESI"

Il Comune di Fabrizia vende il patrimonio immobiliare senza un piano investimenti

Il Comune di Fabrizia intende vendere il patrimonio immobiliare di sua proprietà. Molto consistente risulta quello edilizio e soprattutto abitativo. A parte l'eventuale afflizione per il depauperamento di un patrimonio che potrebbe essere una continua fonte di reddito, c'è da meravigliarsi anche per l'inavvedutezza di un atto che ha l'ambizione di prevedere gli introiti del corposo budget finanziario, nel solo anno 2014, con conseguenze ben pesanti per ifuturi bilanci. Vendendo tutto e subito rimarrebbero privi di linfa vitale gli anni successivi, che dovrebbero sopportare gravi limitazioni nella copertura di spese necessarie e fondamentali.

Quale sia il senso, e soprattutto il movente, di tale impostazione, cittadini ed associazioni civiche se lo chiedono con preoccupazione, immaginando che l'Amministrazione comunale voglia spendersi tutto finché in carica, per predisporsi alla benevolenza degli elettori (e dei grandi elettori della sua lista) per la tornata elettorale successiva. Memoria sovviene e si riaccendere il lume del passato. Anche verso la fine degli anni '90 il Sindaco congetturò un'operazione simile, spendendo circa un miliardo e duecento milioni di vecchie lire, che prosciugarono e compromisero seriamente il bilancio comunale, in favore di malriuscite opere pubbliche dal valore sociale veramente scarso.

Nell'attuale frangente, con la ragguardevole somma di quasi un milione di euro (precisamente 927.436,00 come specificato nella delibera consiliare 7/2014) si è autorizzati ad osservare che non si può vendere o svendere un consistente patrimonio, senza un piano preciso di crescita sociale ed economica del paese. Tra l'altro, come unico indizio riguardo la destinazione del consistente capitale, l'atto consiliare accenna ad una non meglio precisata previsione di “migliorare l'assetto urbanistico e la gestione del territorio comunale”.

Non si tiene in alcun conto il dovere-necessità di valutare per prima cosa un'opportuna “valorizzazione” dei beni immobili e, semmai, come residua ipotesi, la dismissione di quei beni che non producono reddito o siano di evidente scarso rendimento rispetto ai costi di gestione degli stessi.

Come si potrà pareggiare il bilancio di previsione negli esercizi successivi, non è dato sapere, visto che mancheranno gli ordinari introiti di utilizzo e ammortamento del patrimonio e cosa ancor più scoraggiante, il reddito derivante dai numerosi affitti di cui attualmente l'Ente beneficia.

Altro discorso sarebbe eventualmente - e se fosse realmente come prospettato in delibera, ma si nutrono forti dubbi - per gli altri beni non edilizi, cioè suoli l'atto definisce “reliquati stradali” ed “aree agricole”. Tuttavia, come accennato, anche in questo caso, nel sostenere in primis la preminenza dei civici diritti ed istanze, non si può non mettere in guardia sul probabile abuso in atto: cioè quello manifestamente espresso, di far conseguire all'atto deliberativo un “effetto dichiarativo della proprietà”. È ovvio, a parer nostro, che avendo elencato con nome e cognome tutti i titolari di diritti sui beni di cui il Comune intende appropriarsi, riconosce la non disponibilità automatica dei beni pretesi. Nella maggior parte dei casi si tratta di suoli già edificati ed appartenenti a privati o, in altri casi, di aree da affrancare e non già di immobili di cui appropriarsi in quanto privi di riferimenti proprietari. Non crediamo assolutamente che sia corretto non tener conto dei pesi gravanti su beni che risultano in legittimo godimento di soggetti determinati, se non altro perché possessori di lunga data e di buona fede.

Maria Cirillo

 

03 giugno 2014

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