"CULTURA INDUSTRIALE"
Serre: terra d'industria o terra di briganti?
Studiosi ed esperti testimoniano l'illustre passato industriale di Mongiana e della Calabria
Mi piace iniziare con una frase di Pino Aprile “non è stato il Mezzogiorno a perdere quella ricchezza e quell'opportunità di crescita, ma l'Italia, ché l'egoismo, mentre sembra darti nell'immediato, ti toglie nel futuro moltiplicato”.
Qualche rammarico all'interno delle celebrazioni per l'apertura del Museo delle Ferriere di Mongiana, era d'obbligo. Sono state supinamente accettate le immeritate conseguenze retrograde di una dispotica e prepotente unità di un'Italia che esiste e si è sviluppata velocemente solo grazie a quel meridione definito indegnamente retrogrado. È innegabile però che i resti della civiltà industriale della Calabria ne certificano un primato senza smentite, una spettanza che avrebbe meritato ben altro che il crudele abbandono ad un ingrato destino di povertà.
La Commissione Straordinaria di Mongiana, presieduta dalla Dottoressa Maria Carolina Ippolito, ha preso a cuore il rilancio di quel progetto di memoria, importante per noi come popolo meridionale, ancor prima e maggiormente che per in vista delle legittime rivendicazioni nei confronti degli altri. Prendere coscienza che siamo regrediti come popolo perché siamo stati espropriati con autocrazia della nostra civiltà, non ci ridarà tutto, ma quantomeno consentirà al meridione di darsi pace, acquisendo consapevolezza della logica per la quale si è arenato il sogno industriale; ed infine, liberarsi dell'inopportuno autolesionismo dei sensi di colpa, ingenuamente assunti al posto degli sfruttatori, rifiutando l'etichetta di razza parassita. Le ricerche hanno accertato che vi era bisogno di cifre veramente modeste per ammodernare le già avanzate fabbriche del meridione, il cui investimento più consistente riguardava la realizzazione di una semplice strada che congiungesse la Mongiana a Pizzo. Invece, con grande egoismo e slealtà, si è pensato bene di trasferire l'industria al nord. E non solo quella metallurgica: infatti è stato rilevato come fosse fiorente in queste zone, l'industria manifatturiera della produzione della seta.
Le industrie impiantate nel nuovo Nord, che da prettamente agricolo si avviava a divenire il sito principale dell'industrializzazione - senza esserne affatto preparato - per funzionare avevano bisogno della manodopera esperta del sud. Fu così dato avvio a quella che si definisce una gigantesca “campagna d'emigrazione” verso il nord. Al nord servivano le maestranze, che invece al sud erano diffuse, ma l'implementazione delle industrie doveva avvenire lì e non al sud, troppo lontano in questo “Paese troppo lungo”. Vinse la politica del Nord, contro quella del Sud, attraverso una deliberata scelta,che privò Fabrizia-Mongiana del più importante legame con lo sviluppo che di li a poco doveva attraversare il mondo occidentale. Ciò a dispetto dell'evidenza; basti pensare che nel decennio francese, l'industria calabrese produsse migliaia di posti di lavoro, coprendo il bisogno di occupazione di tutti. La fonderia e la fabbrica d'armi del territorio della mungiana, dichiarato Comune autonomo da quello di Fabrizia per decreto reale del 1852, si sarebbero fortemente giovate dell'ammodernamento viario patrocinato dall'Ing. Giordani nel 1861, che chiedeva di provvedere “subito al ripristino del tratto di strada Mongiana-Crocco”. In effetti non si trattava di richieste onerose. Racconta Pino Aprile nel suo interessante libro “Terroni”, una testimonianza di Marisa Tripodi, mongianese emigrata a Lumezzane, l'emigrazione di massa dei suoi compaesani per impiantarsi su questa terra di nuova industrializzazione . Ormai sono ben chiare vicende e ideologie di superbo disinteresse per il sud, portate avanti da dall'Italia postunitaria, il cui risultato fu che l'evoluta civiltà industriale del Regno delle Due Sicilie, registrò il declino, secondo il distruttivo piano dei piemontesi.
Grazie a studiosi e ricercatori, ma anche grazie a tutti gli appassionati della cultura meridionale, quantomeno si riapre il capitolo dell'indagine esplicativa della vera essenza della disputa e del giustificato malcontento meridionale. Importanti studi sono stati realizzati e messi a punto dal ricercatore Brunello De Stefano Manno, insieme all'Architetto Gennaro Matacena, pubblicati nel volume “Le reali ferriere ed officine di Mongiana”, la cui ultima edizione è stata curata da Cittàcalabriaedizioni.
Un riscontro positivo si è avuto col convegno inaugurativo del Museo svoltosi il 22 ottobre 2013, molto partecipato, grazie anche all'attenzione che hanno dedicato all'evento, tecnici e politici. L'Architetto Matacena ha relazionato con tutta la sua competenza di attento ricercatore della realtà industriale del passato, nonché di progettista del museo. Il Presidente della Giunta Regionale Giuseppe Scopelliti ed il suo Assessore regionale alla Cultura, Prof. Mario Caligiuri, hanno tenuto a battesimo l'iniziativa del varo del Museo, celebrandone politicamente l'apertura, augurabilmente non temporanea. In effetti la consistente somma già assegnata al Comune grazie al fattivo impegno dei Commissari, fa ben sperare nel prosieguo a tempo indeterminato del progetto. All'evento sono stati presenti e testimoni qualificati invitati, a partire da Mirella Barracco, Presidente della Fondazione “Napoli Novantanove”; Francesco Prosperetti, Direttore della Sovrintendenza dei Beni Culturali della Calabria; Vittorio Daniele dell'Università Magna Grecia di Catanzaro e Nicola Ruggieri dell'Università della Calabria.
L'evento in ogni caso si imposto come un'importante scheggia, intorno alla quale si può costruire la storia del passato che sia di volano per il futuro. Prendere coscienza non è operazione facilissima, ma è la medicina che può guarire la presunta arretratezza culturale che, per comodità, viene gratuitamente cucita addosso ai meridionali.
Maria Cirillo
ottobre 2013
©MVC
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